PILLON AVREBBE FALLITO COMUNQUE

Jakub Stanislaw Golebiewski • ago 16, 2019

Agli interessi ideologici dovremmo anteporre quelli pratici, quelli del fare per risolvere, piuttosto che parlare per fallire

Era il 7 giugno dell'anno scorso e mi trovavo in una sala dell'Istituto di Santa Maria in Aquiro in Roma per un incontro su due temi a me molto cari, quello della bigenitorialità e la riforma sulla Legge 54/2006, immaginavo che qualcosa stesse già bollendo in pentola. Erano passati appena 3 mesi dalle elezioni che hanno visto il trionfo del M5S, ma nell’aria c’era ancora molta tensione tra Senatori e Deputati dei diversi schieramenti politici. Il Governo si era appena formato ed uno sconosciuto Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte prendeva visione del contratto di Governo, documento composto da 58 pagine in 30 capitoli che in quel momento rappresentava la constituency tra i due partiti-movimenti di maggioranza, una scommessa in piena regola sul futuro degli italiani. Uno di quei punti di Governo trattava proprio della riforma sull'affido condiviso.
Quel giorno i lavori erano iniziati puntualmente, erano presenti il Sen. Simone Pillon in qualità di moderatore e relatore, la Sen. Alessandra Gallone che di recente ha proposto un ddl tutto suo, lo psicoterapeuta Prof. Giambattista Camerini, il pediatra Vittorio Vezzetti e l’avv. Matteo Santini. Tra i presenti c'era anche il Prof. Marino Maglietta, uno dei padri della legge 54/2006. Ero curioso di ascoltare le presentazioni per comprendere se l’intenzione era quella di risolvere il problema dell’affido condiviso oppure chiacchierare in un contesto autoreferenziale per perdere del tempo prezioso. Compresi immediatamente, grazie alla presentazione del Senatore Pillon che l’incontro era di facciata, era un evento puramente esplorativo perchè il disegno di legge era già stato scritto da qualcuno ed era pronto per essere dato, da lì a poco in pasto ai padri separati. Avete letto bene, solo ai padri separati e questo per me è stato il primo campanello d'allarme. 
Approfittai di quella occasione per fare un intervento in qualità di Presidente dell’associazione Padri in Movimento che risultò, sin da subito e per il tema che proponevo non gradito al Senatore Pillon. Chiesi semplicemente di valutare l’opportunità di attenzionare all’interno della tanto auspicata riforma alcuni punti fondamentali, ovvero renderla adeguata ai giorni nostri, evoluta nel pensiero di genere, senza discriminazioni, allargata anche alle coppie dello stesso sesso e, soprattutto, contestualizzata alla difficile situazione economica che si riflette inesorabilmente sulle famiglie. Avevo condiviso l'auspicio che la nuova riforma riuscisse a guardare avanti, che in qualche modo colmasse un gap di diversi anni che ci separa con un differenziale negativo da altre nazioni meno evolute economicamente ma socialmente più all'avanguardia. 
Bisognava solo ripartire da quanto di buono aveva fatto la Legge 54, cercando di riadattare il nuovo contenuto ad una società liquida che si modifica con estrema velocità. Un occhio di riguardo si sarebbe dovuto dare inevitabilmente anche alla Magistratura, fin troppo spesso responsabile di errori grossolani sull'applicazione del Diritto di Famiglia e la tutela dei figli minori. 
Chiedevo troppo? Forse si quando mi sono reso conto di avere di fronte un gruppo di nostalgici legati ideologicamente ad un patriarcato ormai in profonda crisi, un gruppo di mascolinisti gran parte dei quali neanche separati. Non mi sbagliavo, da lì a qualche settimana è stato presentato  ufficialmente il DDL S 735 a firma proprio del promotore dell'incontro del 7 giugno, il Senatore Pillon. Un testo che oggi conosciamo benissimo nei riguardi del quale abbiamo versato fiumi di inchiostro, pessimo nell'impostazione ed impossibile da applicare anche a detta del Prof. Maglietta, un documento che ha rappresentato a pieno una risposta ideologica a sostegno di un ritorno forzato al patriarcato, una risposta violenta alla crisi dell’identità dell'uomo e del corpo maschile. Oggigiorno siamo ben consapevoli che l’uomo, il maschio, è in crisi e la responsabilità non è assolutamente attribuibile alle donne che avanzano cercando equità sui diritti, bensì ad un welfare che non è mai esistito per entrambi. Il corpo maschile come capace di lavoro e reddito ha subito un colpo fortissimo negli ultimi anni, così come quello femminile ma, proprio in virtù dello squilibrio occupazionale e salariale tra i sessi, è la difficoltà maschile ad essere rappresentata con cifre ufficiali significative. I dati ISTAT sono chiari, il tasso di occupazione femminile è al 49,8% e comunque 18 punti sotto quello maschile, e qui arrivo al punto di rottura della tanto attesa riforma Pillon. La questione della paternità, della riproduzione che ha visto i condottieri patriarcali combattere battaglie millenarie per assicurarsi dispositivi di potere che potessero reagire alla naturalità del mater sempre certa – diritto matrimoniale, vincoli economici e questioni ereditarie – è ormai persa di fronte a tecnologie di inseminazione artificiale e la possibilità di ricorrere ad un’altra donna per il periodo di gestazione hanno reso, fortunatamente, sempre più aleatoria la certezza della riproduzione per il corpo maschile e anzi ne sostengono la sostanziale inutilità. A tutto ciò, giusto per far polemica, possiamo anche aggiungere la questione del “cognome paterno” e di "genitore 1 - genitore 2" ed ecco qui che il quadro è completo ed abbiamo fatto infuriare completamente il neocatecumenale e i suoi seguaci. Diciamola tutta, la riforma sull’affido condiviso non entrava assolutamente nel merito della tutela dei figli minori delle coppie separate, scaricando di fatto la palla del conflitto a mediatori e coordinatori genitoriali, bensì polarizzava la questione su toni estremamente polemici, animando aspre discussioni sul sessismo piuttosto che fronteggiare senza paure e pregiudizi una situazione economica e sociale che non poteva più attendere perché dietro alle separazioni e all'affidamento dei figli, c’è un mondo fatto prevalentemente di soli interessi. Un testo che ha fomentato e fomenta la non necessaria lotta sessista, e lo abbiamo visto nel corso delle manifestazioni che si sono tenute negli ultimi mesi in molte città, sarebbe stato necessario fare un passo in avanti promuovendo un antisessismo quotidiano, stimolando chiunque nel suo piccolo a combattere l’idea che il patriarcato possa, attraverso uno scambio tra vantaggi sociali e libertà, ridare la giusta identità al maschio. Per queste ragioni sostengo che la riforma era adultocentrica impostata sullo strappo vendicativo dei figli alle madri, indipendentemente dalle capacità e dalla sostenibilità genitoriale. L'importante era far rientrare i deboli sotto il controllo e la gestione ossessiva del patriarca tradito e fallito.

Nel piano ideologico ad ampia scala proposto al Congresso Mondiale delle Famiglia lo scorso mese di marzo a Verona, la funzione della riforma sull'affido condiviso era palese, doveva essere un cavallo di Troia, un documento di facciata che ad ogni costo avrebbe dovuto ricostituire e riproporre il ruolo del patriarca all’interno dell'ormai debole famiglia tradizionale. Lo slogan che tanto piace ai sostenitori, “i figli hanno bisogno di una mamma e di un papà”, non per forza aggiungo io,  è l'inno di questa lotta ideologica che poco ha a che fare con l'interesse supremo del minore.
Aldilà dell'evento a Verona, proclamata per l'occasione capitale del Medioevo, concretamente cosa è stato fatto per la famiglia fino ad oggi? Verrebbe da rispondere come Cetto Laqualunque, per educazione desisto. A parte schierarsi ideologicamente, il governo del cambiamento finora non ha cambiato nulla, anzi, in materia di tutela della famiglia fa il doppio gioco, da una parte propone una riforma di legge sull’affidamento a costo zero e dall’altra promuove una parità di genere a zero welfare. Sono fermamente convinto e lo dico per esperienza personale, che la bigenitorialità deve necessariamente nascere dentro le mura di casa, quando la famiglia è ancora unita e con un lavoro di cura sui figli suddiviso per ruoli e per tempi, possibilmente paritetici. Su questo si chiede uno sforzo maggiore ai padri ma soprattutto serve una mano da parte dello Stato, un aiuto che sino ad oggi è stato completamente disatteso nonostante le continue promesse propagandistiche.
Vi è di più, donne e giovani vengono colpevolizzati da diversi esponenti politici perché non fanno figli; caspita oltre il danno anche la beffa. Come si fa a riempire le culle senza mettere in campo interventi per mettere i genitori nelle condizioni di non perdere il lavoro specialmente guardando coloro che fortunatamente ancora lo hanno? Quesito facile per chi poggia le natiche su cadreghe che garantiscono 15 volte lo stipendio di un infermiere, ed infatti le soluzioni trovate sono letteralmente "feudali". La prima è concedere alle famiglie dopo il terzo figlio delle terre da sfruttare, considerando i padri veri e propri valvassini oltretutto senza l'editto di Corrado il Salico del 1037, ovvero privi di garanzie e diritti. L'altra misura dedicate alle mamme riguarda lo sconto di qualche anno per raggiungere prima l'età pensionabile a partire dal concepimento del terzo figlio, insomma un avvicinamento culturale alle famiglie hamish. Contraddizioni e follie medievali inutili a se stesse, prive di uno scopo, misure buttate lì a casaccio per fare credere che qualcosa si stia facendo. Non ci siamo, stiamo arretrando piuttosto che progredire. 

Serve uno sforzo maggiore da parte di chi governa per comprendere che il problema va risolto a monte, sia per preservare l'integrità familiare che dare opportunità alle madri di reintegrarsi facilmente nel mondo del lavoro senza gravare ulteriormente sulle spalle del coniuge o dell'ex. Questo si traduce semplicemente in servizi e sostegni reddituali adeguati per la prima infanzia che riescano a far conciliare famiglia e lavoro, cercando di ridurre in primis le disuguaglianze, la necessità di fare ordine nel ginepraio delle detrazioni e dei bonus con un premio economico a maternità conclusa e conseguente ricollocamento nel mondo del lavoro, servono contributi per baby sitter e l’asilo nido, servono adeguati tempi di congedo parentale nel settore privato anche per i padri, servono misure di welfare dedicate non solo alla natalità ma anche alla genitorialità, che siano efficienti e soprattutto efficaci. Non è accettabile che si cerchi di far passare una norma che riguarda la famiglia a costo zero per le casse dello Stato, non possiamo fare economia sulla famiglia, ne è prova la riforma Pillon che sarebbe gravata completamente sulla testa delle famiglie  arricchendo le nuove figure professionali tirate fuori dal cilindro magico del business, mediatori e coordinatori genitoriali. 
Per passare dalle parole ai fatti, servono delle politiche e degli investimenti a medio/lungo termine incentrate sulla famiglia, un progetto di vita dal quale uno Stato sociale non si può sottrarre. 
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