La puttana del primario

Laura Defendi • 17 novembre 2025

Questo racconto nasce qualche anno fa, ispirato da uno scandalo finito agli onori della cronaca. Rimasi profondamente colpita dalla durezza dei commenti che lessi in merito. Non si tratta di un j'accuse contro le donne, ma di uno spunto per riflettere sul rischio di giudicare con troppa leggerezza e su come gli schieramenti spesso distolgano lo sguardo da sé stessi.

LA PUTTANA DEL PRIMARIO


“Puttana”. Ha aperto la porta della sala infermiere, ero sola. Mi ha detto “puttana” e se n'è andata. Nell'aria è rimasto quel profumo dolciastro che dicono sia da “signora bon ton”. Gonna a tubo beige, camicia Burberry nelle nuance del beige, decolté, tacco non alto, non basso, non. Il trucco pacato, direi un Chanel. Negli occhi, mi è rimasto impresso il luccichio del suo orologio d'oro e diamanti. Piccolo, ma non così piccolo da non notarsi e dannatamente, fottutamente, luccicante. Un pugno in pieno viso mi avrebbe fatto meno male.

Suo marito mi ha toccata. Ero lì, come sempre, accanto alla sua scrivania, lui seduto alla sua poltrona, firmava le dimissioni dei pazienti previste per la giornata. In tutti gli altri reparti la parola “dimissioni” suona come una buona notizia, nel nostro non è sempre così. A volte, semplicemente, li mandiamo a casa a morire.

Lei è venuto a reclamarlo. Inusuale mossa per la sfinge, la chiamavamo così in reparto. Tutti sapevano che il primario aveva un debole per la carne giovane, e lei non poteva ignorarlo. Eppure si presentava alle cene di Natale, splendida nel solito tubino di chi non vuole osare, con un sorriso calibrato che forse voleva essere cordiale. Le vacanze in Sardegna, il tennis del piccolo, lo stage all'estero del più grande, il centro fitness che non è più lo stesso dopo l'invasione della plebaglia. Ogni argomento sostenuto con un gusto per le arti oratorie e un retrogusto acido e sdegnato che sapevano di epoca remota. Il culo era sodo, quello lo avevo notato, era l'unica cosa di lei che la rendeva quasi donna, il personal trainer evidentemente sapeva il fatto suo. Per il resto era inespugnabile, sfinge domestica a guardia di una piramide casalinga, dove accumulava figli e ori per rendere più sfarzosa una morte quotidiana.

Aveva scelto me, eleggendomi pietra dello scandalo. Ero io, quella da colpire a nome di tutte le altre battaglie perse. Poteva sopportare mille tradimenti, non uno di più, e io ero il troppo. Mi faceva quasi tenerezza nel vederla così composta dentro la sua rabbia. Bastasse signora. Bastasse questo, signora a fermare il mercato di carne che suo marito frequenta con così tanta fedeltà. Suo marito ed io ci siamo usati, diciamolo così. A me piace pensare che ci siamo aiutati. Quando vivi giornate, doppi turni, feste comandate dentro un olocausto sezionato di corpi morenti, faresti qualunque cosa per aprire quella porta e uscire dal reparto, per sempre. Aprire le cosce è stato il meno.

La prima volta non avevo nemmeno calcolato bene il circuito di causa-effetto che avrei innescato con un sì. Mi bastava essere stata scelta. Il primario, e quello in particolar modo, esercitava sempre un certo fascino su noi infermiere. A nessuno fregava veramente dei nostri nomi, dei nostri voti, delle ore di straordinario accumulate in un mese. Essere scelta dal primario ti rendeva diversa, unica, quantomeno fino all'arrivo della nuova prescelta.

È stato lui a chiedermelo dopo un po': “Cosa posso fare per te”. E lì ho capito, ho capito che un'occasione così non potevo farmela scappare, che un potere simile, non lo avrei mai avuto con l'impegno e la devozione per il lavoro. “Voglio andarmene da questo reparto, e vorrei una qualifica più alta”. La caposala di oftalmologia andava in pensione nel giro di poco, il posto è stato mio. In ospedale non esistono reparti migliori, ma ne esistono di peggiori. Oncologia era uno dei peggiori. Dire a qualcuno, in occasioni ormai sempre più rare, che avrebbe perso la vista, non era nulla rispetto ad annunciare ad un paziente che sarebbe morto nel giro di poco tempo tormentato dal dolore.

È così, cara signora, che sono diventata la puttana del primario, di suo marito, per il quale, le assicuro, provo anche un certo affetto e una sincera gratitudine. Quando lo incrocio, sempre più di rado, lo saluto e lui risponde discreto con un pizzico di complicità. Ho dato a suo marito un respiro di vita prima che entrasse in sala operatoria a combattere con la morte e lui mi ha dato una vita più serena. Puttana, certo, lo sono, ma mi lasci il gusto di chiederle, che differenza c'è tra il mio nuovo ufficio al quarto piano e il suo attico del centro, tra le mie collaboratrici e le sue colf, i suoi mobili di antiquariato, i suoi quadri d'autore, la sua macchina che cambia come io cambio gli armadi ad ogni stagione, il suo fottutissimo orologio accecante. Ho detto “sì” e ho avuto una vita più agiata, come lei, cara signora, ha fatto quel giorno in chiesa davanti ad ospiti di assoluto riguardo.

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