Difendere chi racconta: non lasciamo sola Silvia Mari De Santis
Quando una giornalista viene punita per aver raccontato la verità, non è solo lei a perdere: perdiamo tutti.
Raccontare la violenza – soprattutto quella istituzionale – non è un gesto neutro. È un atto di coraggio che spesso si paga sulla pelle. È il coraggio di
Silvia Mari De Santis, vice caporedattrice centrale dell’agenzia Dire, oggi al centro di una controversa vertenza giudiziaria per aver semplicemente fatto il proprio mestiere: dare voce a chi non ce l’ha.
La sua inchiesta
Mamme Coraggio ha scoperchiato una realtà scomoda: la “vittimizzazione secondaria” nei tribunali italiani. Donne, bambini ma anche padri che, dopo aver subito vessazioni o violenza, si trovano di nuovo sotto assedio nei procedimenti civili e penali. Silvia ha raccontato ciò che molti preferiscono ignorare: perizie discutibili, minori non ascoltati, e l’uso distorto della cosiddetta PAS - alienazione parentale, una teoria già sconfessata dalla scienza e dalla giurisprudenza, in ogni sede.
Il suo lavoro è arrivato in Parlamento, ha ottenuto il riconoscimento della Commissione d’inchiesta sul femminicidio ed è stato sostenuto da attivisti e associazioni. Ma portare la verità alla luce ha avuto un prezzo altissimo: oggi Silvia è condannata al risarcimento danni e alle spese legali in due casi emblematici di violenza istituzionale, e deve fronteggiare un procedimento disciplinare innescato da chi nega la natura di genere della violenza maschile sulle donne.
Questa non è solo la storia di una giornalista, è la storia di un principio: la
libertà di stampa. Non importa il nostro colore politico o il giornale che sfogliamo: se il potere può intimidire chi racconta, siamo tutti meno liberi. Perché un giornalismo che tace davanti alle ingiustizie non è più giornalismo.
Oriana Fallaci lo scriveva senza mezzi termini: “Un giornalista senza nemici, che non dà fastidio, molto raramente è un buon giornalista.”
Oggi, insieme alla condanna, Silvia affronta un messaggio subdolo: che chi osa svelare la verità può essere ridotto al silenzio. Sta a noi dimostrare il contrario.
Per questo l’associazione
PsyCom – Protocollo Napoli ha lanciato una raccolta fondi per sostenerla. È un segnale forte: la denuncia della violenza istituzionale non si spegne e il diritto all’informazione è un bene comune. All’iniziativa aderisce anche la nostra associazione,
Padri in Movimento
che,
pur essendo nati per difendere le istanze e i diritti dei
papà separati, abbiamo sempre avuto un principio fermo: la violenza contro le donne e contro i figli – soprattutto quando inflitta da chi dovrebbe proteggerli, cioè dalle istituzioni – è inaccettabile e lontanissima dalla nostra cultura, dalla nostra visione e dalla nostra missione. Proprio per questo sentiamo il dovere di prendere posizione e di essere in prima linea accanto a chi, come Silvia Mari De Santis, si batte per dare voce a chi non ce l’ha. Offriamo le nostre risorse e il nostro sostegno mediatico nella convinzione che solo unendo le forze sia possibile fermare ogni forma di sopruso e pretendere giustizia.
Silvia Mari De Santis merita di continuare a fare il suo lavoro senza paura. Per lei, per le donne e i bambini che ha difeso, per la libertà di tutti noi. Difendere Silvia significa difendere il giornalismo libero.
Difendere il giornalismo libero significa difendere la democrazia.

